L'omicidio è sempre da condannare ma finalmente c'è stato qualcuno che non si è limitato a questo, cercando di farci vedere la vicenda del rapimento di Aldo Moro attraverso gli occhi dei brigatisti. E questo qualcuno è il bravo Marco Bellocchio.
Non ci troviamo di fronte ad un film di denuncia, ad una condanna o ad una giustificazione, ma abbiamo di fronte i fatti, vissuti attraverso gli occhi di Chiara, la giovane brigatista carceriera del “Presidente”, come viene chiamato. Fondamentale è stata la scelta dell'autore di umanizzare i carcerieri, mettendo in parallelo le loro vite da reclusi e la loro necessità di mantenere una vita normale, convivendo con i dubbi che man mano si fanno strada dentro di loro. Anche i rapitori sono prigionieri, prigionieri di un credo politico che li costringe a compiere un gesto in cui forse non credono più. Ciò è vero soprattutto per Chiara, una bravissima Maya Sansa, che alla fine si trova ad essere reclusa all'interno di sé stessa.
Un uomo rassegnato è invece Aldo Moro, interpretato da Roberto Herlitzka, che discute, scrive e si pone di fronte ai suoi sequestratori come un semplice uomo, ormai conscio della sua fine.
Il risultato è un film molto soggettivo, una narrazione intima, a tratti surreale.
Un applauso a Bellocchio per la bravura con cui ha raccontato “da dentro” una storia che ha cambiato i destini di molta, troppa, gente. |
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