Lamberto Cardia (Fondazione Bordoni, Italia),
Gli oratori che mi hanno preceduto hanno offerto un panorama davvero completo dell'attuale situazione dell'informazione nel mondo e del suo evolversi, anche attraverso tecnologie sempre più sofisticate e innovative tanto che a questo punto possiamo ritenere che tutti abbiano un'idea abbastanza precisa dei problemi che sono oggi di fronte a proprietari, ai gestori e ai fornitori dei mezzi di comunicazione di massa, ma questa idea o meglio questo consumo non é detto che sia uguale per tutti; così ciascuno di noi può avere molte conoscenze in comune ma idee personali molto diverse. Come diversi possono essere gli utilizzi e le finalità perseguite da ciascuno di noi.
L'invenzione di Gutenberg ha incessantemente trasformato la cultura dalla fine del Medio Evo fino ai nostri giorni; ora il diffondersi di nuovi e rivoluzionari sistemi di trasmissione del pensiero e delle immagini spinge il cambiamento a velocità e spazi fino a ieri inimmaginabili.
Il dott. Giovannini da molti anni ci parlava di 'new media' e ci esortava a meditare sui probabili futuri assetti dell'informazione e sull'insorgenza di traumi e dilemmi inediti per il settore. Ma soltanto adesso stiamo arrivando a comprendere la reale portata delle trasformazioni che si annunciavano.
I calcolatori elettronici, e più ancora il personal computer, hanno fatto irruzione nella vita di tutti i giorni. Ormai non sono strumenti di elaborazione riservati esclusivamente a specialisti e professionisti. Sono già strumenti ordinari della comunicazione integrata e la crescita del loro utilizzo in rete é esponenziale. Con il 'personal' si possono ormai consultare e acquisire migliaia di prodotti edittoriali off-line, e ciò sta beneficiando, ma anche letteralmente stravolgendo il mondo dell'editoria.
Il nostro modo di consumare prodotti editoriali, e non solo, cambia radicalmente. Altrettanto radicalmente cambierano la nostra cultura e quindi la nostra vita, ben più di quanto l'invenzione della stampa abbia trasformato cultura e vita degli uomini a partire dal quindicesimo secolo.
Tutti, da qualsiasi luogo della terra, potranno mettersi in comunicazione con tutti, scambiare informazioni e idee, dialogare con banche dati di qualsiasi natura. Un cittadino di Buenos Aires, se lo vuole, gi oggi pu visitare - senza muoversi dalla poltrona di casa sua - gli Uffizi di Firenze o virtualmente trasferirsi su una cima dell'Himalaya.
Qualcuno spera e qualche altro teme che il diffondersi della conoscenza porterà all'amalmagarsi dei costumi e delle abitudini: il mondo diventerebbe finalmente (o forse per disgrazia) uno, e sparirebbero le differenze di lingua, di razza, di religione.
Ma accadrà davvero? Cio che possiamo affermare con certezza é che la spinta alla globalizzazione del mercato dell'informazione é senza dubbio molto forte. E non potrà essere fermata. Alle tecnologie analogiche che usavano il cavo e l'etere, poco e male, vanno sostituendosi le tecnologie digitali che con il cavo a fibra ottica e il satellite sfruttano appena le risorse e rendono praticamente illimetate il potenziale trasmissivo.
Saremo raggiunti da una massa enorme e crescente di messaggi, tanto che già esistono manuali per apprendere come selezionare, fare ordine, e non lasciarsi travolgere (ricordo il bel libro di Wurman sulla nevrosi da eccesso di informazione). E inoltre: se l'avanzata tecnologica é inarrestabile - e lo é - ci significa automaticamente che vi sarà più benessere, oppure che la cultura universale sarà diffusa in modo corretto e che una cultura nazionale potrà essere salvaguardata. Né significa che tutti potranno usufruire alla pari di tante informazioni o che l'accesso a esse sarà economico.
Ecco allora che la politica deve prepararsi ad affrontare questa sfida epocale. Il Governo, dovrà garantire regole certe e semplici per il funzionamento di questo grande e, per qualche verso, imprevedibile mercato; dovrà inoltre sviluppare in modo razionale ed efficiente l'informazione di tutti i pubblici uffici, nell'interesse del cittadino. Ma una parte dei doveri ricade sugli altri elementi del sistema. Le aziende, ad esempio debbono mantenersi competitive, investire nelle nuove tecnologie, entrare in nuovi menrcati, internazionalizzarsi, perché la dimensione nazionale é ormai troppo ristretta.
L'idea sarebbe che il mondo dell'informazione, nel rilanciarsi, tenesse presente l'orizzonte del mercato globale. Parlo di rilancio perché sono personalmente, serenamente convinto che, dopo gli assestamenti in corso, la professionalità pi seria del settore troverà nuovi sbocchi e nuovi varchi.
Gia adesso mi riesce difficile parlare di una crisi strutturale dei media tradizionali: vedo sopratutto problemi di adeguamento e di riconversione.
Indubbiamente ci troviamo in un momento di non facile e rischiose scelte sopratutto per gli operatori privati, sia dell'antenna, sia della carta stampata. Oggi essi devono assumere decisioni e comportamenti più complessi di quelli che spettano ad altri imprenditori meno direttamente cinvolti nel terremoto causato dalla rivoluzione telematica.
Nel corso di questo incontro siamo stati informati di scelte, già compiute, ben diverse da quelle, pur molto importanti - ma che sono per cosi dire di odinara amministrazione - connesse all'equilibrio dei costi e dei ricavi e al pareggio del bilancio; qui abbiamo uditi parlare di scelte di straordinaria amministrazione, di decisioni campali sull'utilizzo delle nuove tecnologie, sulla trasformazione di vecchie attività, sull'intrapresa di nuove.
Abbiamo udito parlare sopratutto dei giornali, i più esposti in questa competizione per l'adeguamento tecnologico. Io considero il giornale il mezzo d'informazione pi valido e completo che l'umanit abbia mai saputo darsi. E' di facile approccio, ma contestualmente favorisce la riflessione: puoi alzare gli occhi dalla riga stampata e sottoporre a critica personale quello che hai appena letto; e quello hai appena letto é il documentato messaggio che t'invia un'altra mente. C'é una abissale differenza rispetto all'attimo figgente e balenante di un'immagine televisiva. Per la loro insostituibilità, per la loro specificità, - ne sono convinto - i giornali supereranno certamente l'attuale crisi, che, ripeto, stavolta non mi sembra, come fu altre volte, strutturale.
Il numero delle copie complessivamente vendute dai quotidiani é sostanzialmente invariato da molti anni: non si sale, ma neppure si scende sotto i cinque milioni giornalieri, segno della sostanziale tenuta del prodotto nonostante il dilagare della TV. E quindi compiere scelte drastiche, sopprimere testate soltanto perchè la carta stampata o é un po' pi faticosa da trattare o sembra un po' sorpassata, non appare giustificato.
Ne può convincerci del contrario la cessazione di testate che hanno perso il favore dei lettori per non aver saputo rinnovarsi e adeguarsi a nuovi gusti e a mutate richieste. Quando ciò accade non é colpa del mercato o del mezzo besì del prodotto inadeguato. Parimenti, il vero e proprio boom dell'emittenza privata in Italia non può essere considerato al tramondo soltanto perchè il settore ha le sue leggi economoche e i suoi limiti.
Se si assumesse quale struttura ottimale dell'offerta una sana corrispondenza tra le dimensioni dell'impresa e dell'effetiva consistenza del mercato si potrebbe meglio distinguere tra le crisi fisiologiche presenti in un processo di naturale razionalizzazione (chiusura di aziende la cui struttura e dimensione non sono economiche) e crisi cicliche superabili con azioni di rilancio e sviluppo sia tecnologico, sia qualitativo, e di risanamento gestionale.
Le imprese di comunicazione che sono in grado di fare ciò devono adottare tutte le misure ritenute più opportune per utilizzare quello che il progresso tecnologico offre, compresa la lettura del giornale su un video e non su una pagina di carta.
L'Italia, naturalmente, non deve rimanere indietro sul piano tecnologico. In questa Conferenza sono stati esposti dati e informazioni su quello che alcune aziende hanno deciso di fare per tenere il passo con lo sviluppo della comunicazione mondiale. Sono esperienze estremamente interessanti, che vanno sostenute.
Le innovazioni che si annunciano sono talmente numerose e di tale importanza che si comprendono pienamente la difficolt e la delicatezza delle scelte da assumere.
Quella più importante é la scelta relativa alla politica di sostegno al settore dell'editoria. E' pensabile proseguire con l'attuale strumentazione tesa ad effondere aiuti su una vastissima attività editoriale, carta stampata e radiotelevisione, composta oltretutto da una moltitudine di piccoli e piccolissimi soggetti?
E' possibile, per contro, continuare a trascurare chi investe in nuove tecnologie e trova condizioni di mercato e normative decisamente svantaggiate rispetto a chi non investe e produce ancora in modo tradizionale?
D'altra parte é utile e corretto non aiutare a vivere soggetti liberi soltanto perché di modesta rilevanza?
Su questi temi dobbiamo riflettere per tempo. Sarebbe molto grave farci trovare impreparati alle inderogabili scadenze. La riflessione deve essere fatta senza far prevalere interessi di parte e guardando, invece, ai più vasti interessi del Paese.
Il nuovo modo di fare informazione imporrà precise strategie di impresa e le nuove severe condizioni imposte attualmente al mercato porteranno inevitabilmente all'esclusione delle imprese non competitive anche in termini tecnologie.
Basti pensare alla velocità degli attuali sistemi elettronici di trasmissione, rispetto a quelli tradizionali: é vero che la qualità resta un criterio fondamentale, ma essa dovrà essere accompagnata da nuovi metodi di lavoro. Discorso particolarmente importante per l'Italia, dove come prima accennavo, l'informatizzazione della Pubblica Amministrazione é ancora estremamente inadeguata.
Il ruolo dello Stato a sostegno delle nuove tecnologie e per l'adeguamento di tutto il settore va ormai visto sotto questo nuovo profilo; e non più, come per il passato, sotto il profilo d'un distratto erogatore di contributi e provvidenze destinati a non influire sostanzialmente sulle strutture delle aziende.
Tutti riconoscono la necessità di rendere la Pubblica Amministrazione più efficiente, e tutti sostengono che lo strumento principale per realizzare questo obbietivo é l'informatizzazione. Ma se non vogliamo limitarci a dire soltanto vane parole dobbiamo davvero convincerci fino in fondo che questa é la grande occasione di rilancio di tutto il Paese.
L'efficienza degli uffici pubblici incide in modo diretto sulla competitività delle aziende. Se lo Stato investe con larghezza e con avvedutezza in prodotti informatici e di comunicazione, l'industria nazionale può godere di una crescita della domanda, e dunque iniziare a investire in ricerca e nuovi prodotti. Voi sapete che il Governo ha varato di recente una direttiva per l'avvio della Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione.
E', ripeto, la grande occasione. Certo, va detto subito che vi é una condizione indispensabile per coglierla appieno. La domanda pubblica in questo settore non può più rappresentare per nessuno un semplice e momentaneo sostegno economico alle imprese. Gli investimenti dovranno essere tutti finalizzati ad aumentare l'efficienza della Pubblica Amministrazione e favorire il cittadino utente. La domanda sarà qualificata e si rivolgerà dunque alle imprese qualificate e pi competitive. Soltanto chi avrà le gambe camminerà.
Se, così, la Pubblica Amministrazione sarà resa finalmente più efficiente, cambierà la vita dei cittadini, delle imprese, delle nostre città. Si diffonderà una cultura informatica, si ridurranno gli spostamenti inutili, vi sarà meno traffico, aumenteranno trasparenza e certezza della'azione amministrativa. Potremo avere una lenta ma solida, e vera, rivoluzione di cui il Paese ha bisogno.
Se tutto ciò non devesse avvenire si determinerebbero inesorabilmente la provincializzazione della nostra informazione e l'ingresso in Italia di imprese straniere più capaci di servire i cittadini italiani divenuti nel frattempo epserti utilizzatori delle tecnologie elettroniche. Sarebbe, questo, un ingresso non per collaborare ma fatalmente, a causa della negligenza nostra, per colonizzare. Si avvierebbe il declino dell'Italia, il suo descendere al livello delle economie meno sviluppate.
Tutti insiemi, per fortuna, qui abbiamo intuito gravità e dimensioni del pericolo: tutti insieme, ne sono certo, sapremo evitarlo.